A Genova vent’anni fa io c’ero

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Un breve ricordo sulla mia esperienza al G8 di Genova, a distanza di vent’anni da un momento epocale per i movimenti ma anche per me.

Io c’ero. A Genova vent’anni fa, c’ero.
Partii con i treni speciali da Napoli. Tra i compagni era alta la tensione, era stato da poco ucciso Carlo Giuliani a piazza Alimonda. Nella manifestazione di chiusura si prevedeva una mattanza. Molti non se la sentirono di partire dopo l’uccisione di Carlo e il clima crescente di tensione che il Governo e i capi delle forze dell’ordine avevano costruito ad arte. Con il gruppo “troskista”, a cui mi ero aggregato, decidemmo di partire. Era necessario esserci, dare una risposta democratica ad un Governo che aveva fatto ripiombare l’Italia nel fascismo, sospendendo tutte le garanzie democratiche e dando mandato alle forze dell’ordine di reprimere nel sangue quel movimento. “Voi G8 noi 6 miliardi” era lo slogan.

Arrivammo a Genova e trovammo una città spettrale. C’eravamo solo noi e la stampa, solo i manifestanti e la stampa libera a difendere la democrazia italiana. Da subito capimmo che la manifestazione finale di sabato sarebbe stata una giornata campale. La strada sulla quale si snodava il percorso principale della manifestazione aveva da un lato il mare e dall’altro le viuzze strette del centro. Non c’erano vie di fuga e chi decise di attaccare il corteo senza motivo alcuno lo sapeva. Il resto è stato raccontato dalle immagini che immortalarono la carneficina e che furono indispensabili per individuare le responsabilità.

Per fortuna noi prendemmo solo qualche manganellata perché, inseguiti da uomini in divisa che sembravano assetati di sangue, riuscimmo ad entrare in un condominio dove una signora ci accolse barricandoci dentro.

Eravamo una trentina in quell’appartamento, ognuno a cercare un po’ d’acqua per lenire il bruciore degli occhi causato da lacrimogeni particolarmente aggressivi e curare le ferite dei manganelli. Dopo una quarantina di minuti uscimmo da quell’appartamento in cerca degli altri compagni, vagammo per la città con le mani alzate per non essere aggrediti dalle “forze dell’ordine” che arrivavano con i cellulari e si fermavano a caso per pestare noi manifestanti e portarci dentro. Inutilmente con le mani alzate perché a “loro” non importava niente, menavano e arrestavano chiunque, donne, suore, medici, manifestanti. Genova come il Cile.

Vagammo finché trovato qualche altro compagno decidemmo di non restare oltre e prendere il primo treno speciale per Roma. Chi restò a Genova come nella Scuola Diaz subì una delle più malvage repressioni degli ultimi decenni. Il resto è storia nota. Berlusconi e Fini riuscirono a bloccare quel movimento, con l’aiuto dell’11 settembre, ma Genova non fu la fine di qualcosa, fu l’inizio di tante storie che abbiamo vissuto in questi ultimi vent’anni.

A Genova io incontrai l’Arci di Tom Benetollo, Arci che divenne di lì a poco la mia casa. Di quel movimento abbiamo bisogno oggi ancor più di ieri e come stiamo dicendo in questi giorni, VOI SIETE LA MALATTIA, NOI SIAMO LA CURA!

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